THE SQUARE
Parte 2
di FABIO VOLINO

 

A Hector Ayala serve quasi un giorno intero per arrivare alla sua destinazione. Giunto a Sun City, consegna l’automobile all’agenzia di autonoleggio locale e gli vengono restituiti i cento dollari che aveva dato in pegno. Si reca poi in un vicino albergo e paga per una notte: nella sua camera c’è il televisore, ma non si sogna di accenderlo. Il suo è un sonno tormentato.

SECONDO GIORNO

Hector si sveglia di buon ora e si reca alla stazione degli autobus per vedere se esiste un mezzo che possa portarlo a Beedle. Nessuno. Una città evidentemente troppo piccola perché possa essere di interesse ai trasporti pubblici. Una rapida analisi lo porta a vedere che la fermata più vicina, Telwin, dista solo tre chilometri dalla sua destinazione. Prende il bus ed in mezz’ora è lì, poi inizia la sua camminata. Nel vedere le auto che passano accanto a lui inizialmente è tentato di fare l’autostop, poi desiste.
Così sono le undici quando Hector Ayala giunge alla sua destinazione. E subito nota la desolazione che circonda questa città, sembra davvero non esserci anima viva. Impressione rapidamente fugata dall’apparire di qualche passante, che osserva con sospetto questo nuovo arrivato. Come si entra a Beedle c’è una piazza: strano in un centro abitato… così poco abitato. Una piazza scarna come gli edifici che la circondano, con solo un obelisco senza targa ad abbellirla. In lontananza si vede il mare, ma è una vista che per qualche strano motivo deprime più che rallegrare. Ed infine Hector lo avverte: il silenzio. Capita a volte di frequentare strade deserte di piccole città e non sentire nulla attorno a voi: nessuna auto, nessun cane che abbaia, nessun aereo che sorvola la zona. Questo però è un silenzio diverso, che fa rabbrividire non solo per il clima insolitamente freddo che circonda la città.
“Dunque, dove comincio?” si interroga Hector Ayala.
Piccola com’è, di certo Beedle non ha un giornale locale, fonte preziosa di informazioni. L’uomo allora prova a fermare un abitante, ma questo lo oltrepassa senza nemmeno guardarlo in faccia; ci riprova con un’altra persona ed ottiene lo stesso risultato. “Assurdo, nella calorosa regione della Florida ho trovato gli unici cittadini freddi” pensa Hector.
“Si è forse perduto?” chiede in quel momento una voce.
L’uomo si volta e nota un uomo anziano, sui sessant’anni, che sosta davanti ad una porta. Una scritta graffiata gli dice che è l’ufficio di un dottore.
“A dire il vero no, cercavo proprio questa città”.
“Lei è venuto a Beedle di proposito?”.
“Sì”. Per qualche istante Hector si interroga sul cosa dirgli “E non per una gita di piacere. Mi scusi, forse da queste parti ci sono un faro ed un mulino a vento?”.
Il volto dell’uomo si fa torvo ed è una reazione che Hector si aspettava. Ora attende di essere cacciato via, ma questo non accade. “Venga subito dentro” esorta il dottore.
Dopo che la porta è stata chiusa, l’eroe viene portato in un piccolo stanzino ed invitato ad attendere. All’esterno ode la voce del dottore che congeda una sua paziente, poi torna da lui. “Ora possiamo parlare senza problemi”.
“Ero sicuro che avrei toccato qualche nervo scoperto” dice Hector “Lasci che le spieghi cosa è successo. Due giorni fa mi trovavo in un motel…”.
“Ed ha visto una cassetta. Poi qualcuno le ha telefonato e le ha detto che sarebbe morto in quattro giorni” conclude il dottore.
“Sì, esatto. Vedo che non sono la prima vittima di questa maledizione”.
“Per la gran parte delle persone è solo una leggenda metropolitana, per noi di Beedle no. Per questo siamo così sospettosi verso gli stranieri, i miei concittadini hanno già visto in lei un uomo condannato. Questo perché un giorno anche uno di noi ha visto quella cassetta, ce ne ha parlato e poi puntualmente quattro giorni dopo è stato trovato morto nel suo appartamento. Con la gola sgozzata. Nessun segno di effrazione, nessun atto di vandalismo: solo lui riverso su un divano macchiato del suo sangue”.
“Allora mi dica tutto quello che sa”.
“Posso dirle ben poco, solo indicarle dove si trova il faro che sta cercando. Venga con me”.
I due si avvicinano ad una finestra. “Ecco, aguzzi bene la vista ed in lontananza lo noterà. Un tempo questa era una zona portuale, anche di un certo rilievo, poi per nessuna ragione in particolare la desolazione ci ha colpito. Ed ora viviamo solo con noi stessi”.
“Mi deve portare subito lì” chiede Hector “E’ importante”.
Il dottore gli poggia delle chiavi su una mano. “Ecco, sono quelle del mio furgoncino di riserva. Ormai è una vita che non lo uso, eppure ricarico costantemente la batteria. Può trovarlo sul retro. Ma non mi chieda di venire con lei. So che certe cose non dovrei dirle, che non dovrei credere alle superstizioni: ma quel posto è maledetto ed io non intendo andarci”.
“Cosa è successo lì?”.
“Lo scoprirà da solo, glielo assicuro”.
“Mi perdoni, un’ultima domanda. Perché la polizia non ha indagato su queste morti? Non avete detto loro nulla?”.
“Solo una volta, per farci ridere in faccia. Non capiscono la gravità della situazione. Per loro sono semplici omicidi, magari a scopo di rapina”.
“Io… la ringrazio. Perché mi ha aiutato?”.
“Sono un dottore, il mio compito è salvare delle vite umane”.
Hector esce dal retro e nota che il nome del dottore è stato parzialmente cancellato dai segni del tempo e dell’usura sulla targhetta. Sono distinguibili solo un paio di lettere: SP. Gli chiederà poi come si chiama. Sale sul furgone e si avvia lungo la strada che porta al faro, indicata da un cartello tagliato a metà. Non è una strada agevole, di certo non è una delle più battute ed è coronata da sassi e crepe lungo la via. Ed alla fine termina bruscamente quando un muro di erbacce e sterpaglie si para davanti a Hector. L’uomo esce dal mezzo e nota se si possa aggirare l’ostacolo: è impossibile. In ogni caso il faro è a poca distanza e di certo nessuno verrà a rubare il furgone.
Pochi minuti dopo è presso l’imponente costruzione, ancora attorniati da quell’innaturale silenzio. Il faro è decisamente alto e davanti a lui le onde del mare si infrangono su rocce appuntite. Tuffarsi qui equivale a morire. Vicino alle rocce Hector nota una costruzione distrutta: probabilmente era il molo dove attraccavano le navi. Si reca presso la porta del faro, ma come prevedibile essa è sprangata: per lui non è comunque un problema e con la sua incredibile forza la scardina.
La salita lungo le scale consumate è lunga ed impervia e porta infine l’eroe nella saletta da cui il guardiano osservava le navi arrivare e dava loro eventualmente delle indicazioni. Se qui dentro c’era un tempo qualcosa, è stato portato via. No, non tutto… ci sono dei fogli sparsi per terra. Hector li raccoglie, sembrano pagine sparse di un diario…

13 Ottobre: ieri è nato mio figlio! Il giorno più bello della mia vita. Non vedo l’ora di tornare a casa per prenderlo in braccio.
17 Ottobre: E’ un amore, non ho altre parole per…

Ci sono molti strappi e un considerevole anche se imprecisato balzo temporale.

16 Giugno: Ho paura, ho tanta paura.
17 Giugno: Mi ha guardato di nuovo in quel modo, con quello sguardo capace di gelarmi il sangue. Ho paura. Ho tanta paura.
20 Luglio: Mia moglie non dorme più, il suo volto sembra quello di un fantasma. Dio mio, cosa posso fare?
1 Agosto: Un istituto ha deciso di prenderlo in cura, ma mi chiedo se possano fare qualcosa.
20 Settembre: L’istituto ci ha rispedito indietro quel mostro.
12 Ottobre: Ho deciso, devo ucciderlo. Per il mio stesso bene.
13 Ottobre: E’ morto, è morto finalmente. Eppure non mi sento sollevato: è come se un enorme peso gravasse sulla mia anima.
20 Ottobre: Non è possibile, è tornato! No, non può essere tornato! L’ho ucciso, l’ho ucciso, l’ho ucciso…”.

Questa litania viene ripetuta almeno un centinaio di volte. Poi ci sono altre pagine strappate, fino all’ultimo appunto.

..aio: Muoio nel dolore.

Hector non sa cosa pensare: gli sembra di essere incappato nel diario di un pazzo, ma allora cosa ci fa in questo faro? Il lavoro di guardiano richiede nervi saldi per guidare le navi al sicuro, un uomo preda di turbe psichiche non avrebbe mai potuto portare avanti un compito del genere. In ogni caso mette le pagine che ha trovato nel suo zainetto e si dà una occhiata intorno.
Ed allora lo nota, in lontananza: il mulino a vento. Situato su una vicina riva. Un edificio che dire che stona col paesaggio è dire poco e non manca di emanare una sorta di aura spettrale. Nel faro non è rimasto più nulla da analizzare, così Hector si dirige verso la sua nuova meta. Anche qui tutto è stato lasciato all’abbandono, con enormi ragnatele ad abbellire la scena. C’è un solo ingresso, un ingresso dove non esiste più la porta.
L’uomo sta per varcare la soglia quando qualcosa gli blocca la strada. Un miagolio rivela la sua identità: un gatto. Un gatto nero. Hector lo osserva e l’animale fa altrettanto coi suoi profondi occhi dorati. E’ come se i due stessero cercando di stabilire un’intesa, un contatto telepatico. L’uomo prova ad avvicinarsi, ma questo impaurisce il gatto che fugge via nell’aperta campagna. Allora Hector entra nella casa: è un miracolo che non sia ancora crollata per cedimento strutturale. All’interno non è rimasto più niente, gli sciacalli arrivano ovunque. Anzi no, qualcosa c’è. Ed un brivido percorre spontaneo il corpo di Hector.
Una culla. Una semplice culla. Rispetto a tutta la decadenza che la circonda, è l’unico oggetto intatto della casa. Non c’è una ragnatela, una spaccatura, una piegatura… sembra sia stata appena comprata. Immacolata. O forse no. Hector osserva più attentamente e nota delle macchie sulla coperta. Macchie rosse. Rosse come il sangue. Un coltello alzato, pronto per colpire. “Ho deciso, devo ucciderlo”.
A Hector gira la testa: forse per quanto ha appena compreso, forse per l’atmosfera opprimente della casa. Fatto sta che esce di corsa per prendere una boccata d’aria ed aspira ampiamente. Se avesse fatto colazione, ora starebbe vomitando. Muoio nel dolore. Qui c’è stato un brutale omicidio, i cui effetti ancora non si sono conclusi. Qualcuno vuole perpetuarne il ricordo, con quella videocassetta assassina.
“Cosa ci fa lei qui?” tuona in quel momento una voce. Un vecchio, sembra avere più di un secolo.
“Niente” si giustifica Hector “Stavo solamente passeggiando”.
“Nessuno viene a passeggiare da queste parti” lo sbugiarda il vecchio “Non nella casa dei Watts”.
“Come mai?” finge stupore Hector.
“Ah, lei prova a fare l’ingenuo con me, ma non ci casco. Sa benissimo che qui è stato ucciso un bambino”.
“Ed i genitori che fine hanno fatto?”.
“Il padre è fuggito, una volta che la polizia ha cominciato a sospettare di lui. La madre invece è impazzita e si trova in un istituto”.
“E’ ancora viva, dunque” pensa Hector. “Quale istituto?” chiede poi.
“Vada via!” tuona improvvisamente il vecchio, come se la vista stessa di Hector lo ripugnasse.
“Aspetti…”.
“Le ho detto di andarsene!”.
Hector decide di prestargli ascolto, soprattutto dopo aver visto lo sguardo irato del vecchio, e si allontana. Comunque ora ha qualche informazione in più: la famiglia si chiamava Watts, ha ucciso il suo unico figlio per un motivo ancora misterioso e la madre si trova in un istituto. Quale? Improvvisamente l’uomo ricorda una immagine della videocassetta: un istituto la cui insegna iniziava per LOM. Bisogna localizzarlo, sperando non si trovi in qualche altro stato.
Risale sul furgone prestatogli dal dottore di cui ancora non sa il nome e ritorna verso il suo studio: di certo saprà dove si trova il più vicino istituto per la cura della mente. E’ a metà strada quando un cartello, cui prima non aveva fatto caso, attira la sua attenzione:

ISTITUTO LOMBROSO DI SUN CITY – CURIAMO I CASI PIÙ DIFFICILI

Hector si ferma e lo osserva: questa è davvero bella, la pubblicità di una casa di cura. Gli Stati Uniti sono davvero un paese incredibile. Vicino a sé vede un telefono pubblico, con annesso elenco telefonico. Lì trova l’indirizzo dell’istituto. Lombroso, LOM, le iniziali che si vedevano sulla videocassetta. E’ a poca distanza da qui, in un paese attiguo, quello in cui ha consegnato l’auto noleggiata: non può essere una coincidenza, quel padre impazzito avrà sicuramente portato lì suo figlio. E lì potrebbe trovarsi anche la madre di quello sfortunato ragazzo. Così Hector risale a bordo del furgone e riparte. Una volta che si è allontanato, il cartello recita:

PER UNA GUIDA SICURA ALLACCIA LA CINTURA

New York.

Nel suo ufficio privato, Peggy Sue Lewis esamina tutte le carte in suo possesso. Non c’è dubbio: Hector Ayala è stato ingannato, inserito in un gioco più grande di lui. Vittima di un complotto: ma per quale motivo? Questa è l’unica domanda alla quale è fondamentale trovare risposta: intanto i giornali e le televisioni, che nei primi giorni non avevano esitato a sbattere il mostro in prima pagina, adesso sembrano come essersi dimenticati di questa storia. Fa più notizia un colpevole che un innocente a questo mondo.
In quel momento il telefono suona e Peggy Sue risponde. “Pronto?”.
“Avvocato Lewis?”. Una voce profonda, decisa. Per certi versi fa anche paura.
“Chi parla?”.
“Qualcuno che ha un interesse comune nella vicenda di Hector Ayala”.
La donna corruga la fronte in un’espressione dubbiosa. “Se questo è uno scherzo…”.
“Non lo è affatto e lei lo ha già capito. Le propongo un incontro per domani sera. Scelga lei il posto, per me non c’è problema”.
Peggy Sue riflette per alcuni secondi su questa proposta: potrebbe rivelarsi un azzardo, eppure sente che quest’uomo con cui sta parlando può darle informazioni vitali su questo caso. “D’accordo” dice infine “Al Bar Hoboken del Queens. Alle otto”. Non c’è luogo e orario più affollato di quello, il suo interlocutore non tenterà di fare delle stupidaggini.
“Perfetto. Ci vediamo domani, allora”.
Cardiac chiude la comunicazione e si chiede se quello che ha appena fatto sia giusto. Del resto incontrare l’avvocato di Ayala gli sembrava l’unica mossa possibile, dal momento che si è trovato in un vicolo cieco. Eli Wirtham non è un uomo capace di rodersi nel dubbio per giorni, deve sempre scoprire una soluzione ad ogni cosa. E questo potrebbe costargli caro.

Sun City.

Tornato al punto di partenza, una cosa davvero ironica. Come un perverso scherzo del destino, la sua vita è stata rivoltata come un calzino: tutte le sue precedenti certezze sono crollate ed ora è solo contro il mondo.
Hector Ayala osserva l’istituto Lombroso. Anche questo è abbastanza ironico: una casa di cura dedicata ad un criminologo le cui teorie da decenni sono state sbugiardate. Entra e si dirige con passo deciso alla reception. Ora viene il bello.
“Buongiorno” si presenta “Sono venuto a fare visita alla signora Watts”.
L’infermiera di turno lo scruta con fare sospettoso. Di certo la signora Watts non riceve da tempo visite. “Lei chi sarebbe?”.
“Un amico di famiglia”. Pessima, pessima, pessima risposta: si rimprovera subito dopo l’uomo.
“Mi farebbe vedere un documento di identità?”.
Hector le fornisce la sua falsa tessera della previdenza sociale. L’infermiera la esamina solo per un istante.
“Spiacente, ma lei non risulta nella lista delle persone a cui è concesso di fare visita alla signora Watts”.
“Aspetti, è molto importante per me…”.
“Mike!”.
Si presenta una guardia di sicurezza, un uomo corpulento i cui muscoli risaltano anche sotto l’uniforme. “Mike, un altro giornalista interessato al caso Watts. Era da tempo che non ne vedevamo, ma non vuol dire che siamo diventati più ingenui”.

Da qualche parte.

Ha mascherato bene la sua preoccupazione, questo Mr. Blue deve riconoscerlo a sé stesso. Nemmeno Smith ha sospettato qualcosa. In realtà è profondamente turbato: perché la vicenda in cui è andato a cacciarsi Hector Ayala è fuori dalla sua portata. Sarebbe dovuto essere già qui, nel luogo dove avverrà la rinascita del Supremo, per partecipare inconsapevolmente a questo rito. Ed invece no, invece sta rischiando seriamente la sua vita. Ed il tutto per colpa di un acerrimo nemico del Supremo.
Mr. Blue da ore continua a chiedersi cosa possa fare. Non ha ancora trovato una risposta.

Sun City.

Cala la notte ed il personale di servizio all’istituto Lombroso viene sostituito dal turno notturno. Anche il roccioso Mike torna a casa, per essere rimpiazzato da un suo più giovane e meno muscoloso collega. Hector Ayala aspetta che tutto intorno ci sia solo il silenzio, poi si trasforma nella Tigre Bianca e con agilità scala una parete dell’edificio.
Nota subito ciò che fa al caso suo. Un bagno attualmente deserto. La finestra è parzialmente aperta. L’eroe riesce a farci passare sotto alcune dita e a sollevarla. Entrato finalmente nell’istituto, ora si presenta l’impegno più difficile per Hector: non può ispezionare ogni stanza, qui ci sono delle persone malate ed imprevedibili. Rischierebbe di attirare troppo l’attenzione. Torna dunque vicino alla reception, dove di guardia c’è un anziano dottore. L’eroe sta pensando a come non farsi notare quando madre natura interviene in suo soccorso ed il dottore si reca in bagno.
Con velocità e assoluto silenzio, Hector entra nella reception ed esamina gli archivi telematici. Trova subito quello che cerca:

PAZIENTE: NAOMI WATTS (STANZA 343)
AFFETTA DA PARANOIA E GRAVI MANIE DI PERSECUZIONE
VISITE CONSENTITE SOLO AL MARITO JACK WATTS ED AL SUO DOTTORE DI FAMIGLIA

Hector inorridisce: il marito? Ma è impazzito e ricercato dalla polizia, o almeno così gli è stato detto. Quella persona che ha incontrato al mulino a vento in effetti non sembrava predisposta alla sincerità. Mentre per quanto riguarda il dottore di famiglia… un sospetto inizia ad insinuarsi nella sua mente.
In quel momento ode la porta del bagno riaprirsi e, col consueto silenzio, l’eroe sgattaiola via dalla reception. Per recarsi al terzo piano. Evita facilmente le uniche due guardie che trova sulla sua strada e giunge infine alla sua destinazione. Il numero della stanza sembra quasi brillare.
“Ok. Inutile indugiare troppo” pensa la Tigre Bianca.
Apre la porta, che non è chiusa a chiave, ed entra nella stanza. E’ ampiamente illuminata. E c’è qualcuno che lo aspetta.
Hector quasi compie un passo indietro per lo stupore: seduta sul letto c’è la signora Watts. I suoi lunghi capelli neri le coprono totalmente il volto.

CONTINUA...

PROSSIMAMENTE

Il giorno fatale